Un’antica leggenda narra che un pastore mentre si trovava con il proprio gregge sul monte Sant’Angelo, avendo smarrito una pecora, nel cercarla si accorse dell’esistenza di una voragine nel terreno. Di lì a poco ci fu un passaparola tra la popolazione locale, fino a quando non intervenne il Circolo Speleologico Romano (CSR) che nel 1928 vi effettuò un primo sopralluogo con il recupero di materiali ceramici e faunistici. Nel 1946, ricerche più dettagliate furono compiute da A. Segre e A. Guller dell’I.I.P.U. con indagini in alcune zone a focolari dell’area archeologica. Nel 1959 viene scoperto dal CSR il ramo Van Den Steen che esplora la parte attiva fino al sifone terminale. Tra il 1985 e il 1987 vengono scoperti dei rami fossili che vanno oltre il sifone terminale e si raggiunge un grosso salone denominato Giulio Verne.
Le ricerche archeologiche del 1997, vengono avviate nell’ambito di un progetto di valorizzazione turistica della grotta con il coordinamento della Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio. Nel corso dei lavori sono stati messi in luce e raccolti oltre 1000 frammenti ceramici. Le forme comprendono olle, dolii, ciotole carenate,tazze, scodelle e piatti. Le decorazioni, rare, consistono in cordoni plastici con tacche trasversali, incisioni curvilinee concentriche, nastri angolari posti a formare dei rombi, nastri ricurvi campiti da file di punti o da tratteggi trasversali. Le cremiche si collocano in un ambito di media età del bronzo (cultura appenninica). Altri elementi di cultura materiale consistono in un’accetta levigata in pietra verde ed elementi in selce e metallo (un frammento di pugnale, un punteruolo e due braccialetti), oltre ad una fuseruola e un manufatto in osso. La fauna è da attribuire in genere a caprovidi e suidi, con una predominanza di questi ultimi. Le ricerche hanno messo il luce l’esistenza di veri e propri spazi abitativi con un probabile carattere stagionale di occupazione. Per le comunità pastorali di Val de’ Varri è da ipotizzare un’economia di allevamento e di agricoltura cerealicola poco sviluppata, praticata probabilmente intorno ai villaggi posti lungo le fasce collinari. Le grotte come Val de’ Varri, frequentate stagionalmente in primavera e autunno, costituivano probabilmente riparo temporaneo al centro di zone di pascolo. La presenza anche di grafiti, realizzati per impressione digitale come manifestazioni di arte rupestre, permette di considerare due fasi distinte di occupazione interna, la prima eventualmente inquadrabile in un tardo Neolitico – inizi Eneolitico legata alle espressioni artistiche coeva a Porto Badisco, la seconda nel Bronzo medio e relativa al materiale archeologico rinvenuto (circa 1500 AC). Di conseguenza, nel primo caso si tratterebbe di un uso cultuale e nel secondo di uso abitativo stagionale, ciò che porterebbe in parte a rivedere le prime interpretazioni. Grazie ad alcuni resti rinvenuti all’interno della grotta sappiamo che era abitata già dalla media età del bronzo (2000- 1500 a.C.), questi resti a oggi sono conservati una parte nel museo Pigorini a Roma e una parte nel Museo Archeologico Cicolano a Corvaro.